Dallo Zibaldone di Giacomo Leopardi

Il sentimento che si prova alla vista di una campagna o di qualunque altra cosa v’ispiri idee e pensieri vaghi e indefiniti quantunque dilettosissimo, è pur come un diletto che non si può afferrare, e può paragonarsi a quello di chi corra dietro a una farfalla bella e dipinta senza poterla cogliere: e perciò lascia sempre nell’anima un gran desiderio: pur questo è il sommo de’ nostri diletti, e tutto quello ch’è determinato e certo è molto più lungi dall’appagarci, di questo che per la sua incertezza non ci può mai appagare

È un passaggio 75 dello Zibaldone di Giacomo Leopardi, non datato ma da collocare nel periodo 1817-1819, con cui il poeta traccia una chiara definizione di vago e indefinito.
L’idea qui trasmessa dal poeta è che la vista e la contemplazione della natura, della campagna, di un paesaggio che non ha confini netti, ma, sfumati, essendo uno spazio aperto, è piacevole e dà piacere, perché consente all’immaginazione di andare oltre i limiti di ciò che si può, oggettivamente, vedere, di spaziarvi al di là.

Leggevo questo passo e riflettevo su quanto sia vero. Quando siamo immersi nella natura tutto ciò che vediamo, di cui godiamo, suscita in noi non soltanto la gioia per ciò che vediamo in quel momento ma possiede anche il fascino dell’ignoto, di tutto ciò che non abbiamo ancora visto ma potremo in futuro vedere, della memoria, perché ci ricordiamo, anche inconsciamente, di tutte le volte che abbiamo visto lo stesso paesaggio oppure paesaggi simili, dell’esperienza, che è un tesoro che si incrementa e si accumula sempre più ricco e vario nel corso del tempo, anche – e aggiungerei soprattutto – nel campo della natura.

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