La leggenda del Monte delle Rose
La Sicilia è terra di leggende e racconti, di storie fantastiche e di miti, di aneddoti e di saggezza della tradizione che si tramandano nel tempo come preziosa eredità. Lu cuntu nun metti tempu. Il racconto non mette tempo, dice chi racconta una fiaba quando vuol saltare dei passaggi non necessari, lasciati, quindi, senza spiegazione, all’immaginazione di chi legge, o indicare un intervallo temporale molto lungo, fatto di mesi o di anni. E questo vale anche quando i racconti siciliani sono poco più di una suggestione, quando sono una traccia di memoria: possiedono questa capacità di saltare il tempo, di quasi non tenerne conto, come nella notizia biografica a tema floreale di cui ti parlo oggi.
Sentieri tracciati da secoli sui percorsi della transumanza e mulattiere che si fanno strada tra i profumi delle erbe selvatiche e dei fiori, in mezzo a scorci paesaggistici dal fascino che incanta.
Siamo tra Palazzo Adriano e Bivona, tra Palermo e Agrigento, sul Monte delle Rose, un sito di grandissimo interesse ambientale e naturalistico, legato, dal punto di vista storico, al racconto dell’eremitaggio di santa Rosalia. Rosalia Sinibaldi era la figlia del duca Sinibaldo, signore della Quisquina e del Monte delle rose, e di Maria Guiscardi, di nobile origine, discendente dalla corte normanna. Cresciuta tra fasti, divertimenti, agi e ricchezze, viene promessa in sposa all’uomo che aveva salvato la vita al padre. Lei si rifiuta di convolare a nozze con questi e, dopo varie peripezie, si rifugia in una grotta nei pressi di Bivona, sul monte Quisquina. Raggiunta dai pellegrini, si dirige a Palermo, per poi ritirarsi sul monte Pellegrino. Narra la leggenda che nel corso dei suoi spostamenti attraversò anche il Monte delle Rose, dove, al suo passaggio, fiorirono nel mese di febbraio le rose senza spine, ovvero quelle che popolarmente sono chiamate rose peonie o rose di montagna.
Le rose peonie, ovvero la Paeonia mascula
Le rose peonie, chiamate anche rose di montagna, sono nomi popolari che indicano, in realtà, le peonie spontanee disseminate nei boschi che, per forma e colore assomigliano alle rose spontanee (in particolare alle rose rugose originarie delle zone del Giappone, Cina, Corea e della Siberia), ma da queste si differenziano per l’assenza di spine e per il fogliame – le foglie delle peonie spontanee sono biternate, ovvero hanno tre piccioli, ognuno con tre foglioline, dall’apice acuto e di colore verde oliva -, che le rende perciò, a un occhio attento ed esperto, inconfondibili.
Quelle che fiorirono sul Monte delle Rose e che vi fioriscono ancor oggi sono quindi peonie selvatiche, in particolare la specie Paeonia mascula, erbacea perenne della famiglia botanica delle Paeoniaceae.
Sono piante che annunciano la primavera perché, nei luoghi in cui si trovano, sono le prime, tra tutta la vegetazione di montagna, a fiorire. Il periodo della loro fioritura è breve, 15 giorni appena, ma sufficiente per apprezzare la delicatezza di questo fiore, dal profumo e dai colori (dal rosa al rosso porpora) incomparabili, messi in risalto dal contrasto straordinario con il verde del paesaggio boschivo e del sottobosco che li circonda.
La peonia spontanea di montagna è conosciuta come la regina dei boschi in primavera.



Le peonie spontanee e il Monte delle rose conosciuti sin dall’antichità
Una citazione attribuita ad Aristotele annota che «dicono esservi nel Cartaginese un monte detto Gonio [anticamente il monte era chiamato Jonio e poi Gonio], pieno di ogni sorta di materiali di cose, principalmente di varie specie di fiori, del cui odore partecipano in lungo tratto i luoghi vicini e gratissima ad aspirarsi rendono l’aria». Il monte era quindi conosciuto per le sue erbe spontanee e per i fiori profumatissimi – come le peonie -, oggetto di studi da parte di molti botanici.
Plinio il Vecchio conosceva bene la zona. Nella sua Storia naturale descrive, nel terzo libro, la Sicilia, al capitolo ottavo intitolato, appunto, Della Sicilia.
«Qui [in Sicilia, si trovano] cinque colonie, 63 le città o governi. Sulla costa che guarda il mare Ionio dal Peloro, [si trovano] la città di Messina abitata da cittadini di diritto romano, che sono detti Mamertini, il promontorio Drepano, la colonia dei Tauromeni, che prima era Nasso, il fiume Asines, il monte Etna, mirabile per i bagliori notturni. Il suo cratere si stende con un giro di 20 stadi; la cenere ardente arriva fino a Taormina e Catania, il rumore dei suoi scoppi fino a Maroneo e ai colli Gemelli. [Poi troviamo] I tre scogli dei Ciclopi, il porto di Ulisse, la colonia Catina, i fiumi Simeto, Teria. All’interno i campi e le pianure Lestrigoni. Le città di Leontini, Megara, il fiume Pantagie, la colonia di Siracusa con la fonte Aretusa, sebbene anche le fonti Temeniti e l’Archidemia e la Magea e Cyane e Milichie diano acqua da bere nel territorio di Siracusa, il porto Naustatmo, il fiume Eloro, il promontorio Pachino, da cui nella parte anteriore della Sicilia il fiume Irmino, la città di Camarina, il fiume Gela, la città di Agragas, che i nostri chiamarono Agrigento, la colonia di Terme, i fiumi Acate, Mazara, Ipsa, Selino, la città di Lilibeo, da cui il promontorio, Drepana, il monte Erice, la città di Palermo, Solo, Imera col fiume, Cefaledi, Aluntio, Agatirno, la colonia di Tindari, la città di Mile e da dove abbiamo iniziato Peloria. All’interno poi di diritto latino i Centuripini, i Netini, Segestani, gli Assorini tributari, insieme agli Etnensi, gli Agirini, Acestei, Acrensi, Bidini, Citarini, Drepanitani, Ergetini, Echetliensi, Ericini, Entellini, Enini, Egguini, Gelani, Galacteni, Alesini, Ennensi, Iblensi, Erbitensi, Erbitensi, Erbessensi, Erulensi, Alicuensi, Adranitani, Imacarensi, Ipanensi, Ietensi, Mutustratini, Magellini, Murgentini, Muticensi, Menanini, Naxi, Noini, Petrini, Paropini, Fintiensi, Semelitani, Scherini, Selinunti, Simezii, Talarensi, Tissinensi, Triocalini, Tiracinensi, gli Zanclei della zona dei Messinesi».
Sempre Plinio, nella sua Storia Naturale, tratta delle peonie, nominandola come il fiore più antico tra quelli coltivati. Nel libro 25 scrive:
«La prima pianta ad essere scoperta fu la peonia, che conserva ancora il nome dello scopritore; è chiamata da alcuni pentorobon, da altri glycyside. Anche questa è una difficoltà della botanica: la varietà di nomi dati altrove alla stessa pianta. Cresce su montagne ombreggiate, con uno stelo tra le foglie alto circa quattro dita, che porta in cima quattro o cinque formazioni simili a noci greche [simili a mandorle]. In esse si trova una grande quantità di seme, rosso e nero. Questa pianta previene anche gli incubi che i Fauni ci provocano nel sonno. Raccomandano di coglierla di notte, perché il picchio bellicoso, se vedesse ciò, attaccherà avventandosi negli occhi a sua difesa».
Unendo la testimonianza di Aristotele alle annotazioni storiche di Plinio, è quindi certo che le peonie selvatiche sono presenti nell’isola dai tempi antichi. Il Monte delle Rose deve dunque il suo nome alla presenza delle rose di montagna, le peonie selvatiche.
Il Monte delle Rose un tesoro della natura
Il Monte delle Rose, la Muntagna dî Rosi (chiamato anche Monte Rose) fa parte della catena dei Monti Sicani e si trova al confine tra Palermo e Agrigento, nei territori di Bivona (AG) e Palazzo Adriano (PA), e al confine della riserva naturale della Valle del Sosio. Con i suoi 1.436 metri è tra le cime più elevate della catena. Sin dall’antichità fu luogo di transumanza dei pastori di Adriano.
Il Monte delle Rose è un gioiello della natura, oltre che per le peonie selvatiche, per tutte le altre piante che vi crescono: i giacinti, gli agrifogli, l’erica, il favagello, le primule, il pungitopo, il biancospino di Sicilia, la dafne (Daphne laureola, un arbusto sempreverde alto fino a poco più di un metro), il viburno (Viburnum tinus), la vitalba, gli anemoni e diverse specie di orchidee e rose selvatiche. Numerosissime sono anche le erbe aromatiche, come l’origano, la ruta, l’aneto, la salvia, il cumino, l’issopo, la malva, la menta, la melissa, il timo, la nepetella (Nepeta nepetella), l’alloro (Laurus nobilis).
È noto anche per la varietà dei suoi alberi: si possono trovare piante come il Ciavardello (Sorbus Torminalis), dal frutto commestibile molto apprezzato e dal legno pregiato, e, a quote più alte, il leccio (Quercus ilex), l’Acero campestre (Acer campestre), l’Orniello (Fraxinus ornus), il Carpino nero (Ostrya carpinfolia), l’Olivastro (Olea europaea var. sylvestris), il Corbezzolo e la Roverella (Quercus pubescens).
Molto interesse suscita anche la sua fauna, composta in gran parte da uccelli migratori, come l’upupa, da falchi pellegrini, aquile, poiane, da lepri, istrici, martore e gatti selvatici.



Fabiola
L’articolo è interessante e dettagliato.
Nella terra dei fiori
Grazie! :-D