Enea e il ramo d’oro

Virgilio, nel VI Libro dell’Eneide, racconta che Enea chiede alla Sibilla di accompagnarlo nell’Ade, il regno dei morti, per raggiungere e rivedere suo padre, col quale parlare. La Sibilla acconsente al suo desiderio, purché Enea le porti un ramo d’oro che si trova nascosto nei boschi lì intorno (e dia, prima, inoltre, sepoltura a un suo compagno morto).

«Nascosto in un albero ombroso si trova un ramo che ha le foglie
e il gambo flessibile entrambi d’oro, noto per essere sacro a Prosèrpina;
tutto il bosco lo protegge e le fitte ombre delle convalli
lo cingono. A nessuno è concesso di entrare nei regni misteriosi della terra
se prima non coglie dall’albero il germoglio dalle chiome d’oro.
La bella Prosèrpina stabilì che a lei si portasse
questo dono; al primo che viene colto non manca il secondo,
d’oro anch’esso, e il ramo fiorisce ancora di foglie d’oro.
Dunque, cerca in alto con gli occhi e, trovatolo,
come il rito prescrive, staccalo con la tua mano;
quello da sé felice e con facilità seguirà la tua mano
se il fato ti elegge, altrimenti nessuna forza ti aiuterebbe
a piegarlo, né duro ferro a strapparlo.»
Eneide Libro VI, vv. 136-148

Guidato da due colombe, mandate da sua madre, la dea Venere, lo trova.

«Aveva così parlato, quando per caso una coppia di colombe
venne dal cielo volando proprio davanti al suo sguardo
e si posarono sul suolo verde. Allora il grandissimo eroe
riconobbe gli uccelli materni e lieto prega:
«Oh guidatemi, se c’è una via, e dirigete per l’aria
la rotta di volo nei boschi, là dove il ramo d’oro
rinfresca la ricca terra. E tu non mancarmi,
nelle difficoltà, o dea madre». Detto così, fermò il passo,
osservando quali segni portassero, dove continuassero a dirigersi.
Quelle, beccando, avanzano tanto con il volo,
quanto potevano guardare a vista gli occhi di chi le seguiva.
Quindi, come arrivarono alle gole dell’Averno graveolente,
si alzano veloci e, scivolando per l’aria limpida,
si posano nel luogo desiderato, sul duplice albero
di dove la brezza scintillante dell’oro brillò attraverso i rami.
Come è solito nelle foreste nel freddo invernale il vischio
rinverdire di nuove fronde, poiché la sua pianta non si semina,
e avvolgere i tronchi rotondi con un frutto giallo,
tale era l’aspetto dell’oro frondeggiante nella fresca
elce, così mormorava la foglia laminata d’oro al vento lieve.
Lo afferra immediatamente Enea e, avido, lo spezza
indugiante, e lo porta nell’antro della veggente Sibilla.»
Eneide, Libro VI, vv. 190-211

Enea, quindi, trovato il ramo d’oro, torna dalla sacerdotessa, con la quale entra finalmente nell’Ade, il cui ingresso si trova vicino al lago Averno. Arrivati da Caronte, sulle rive dell’Acheronte, questi si rifiuta di trasportarlo all’altra riva. Ma grazie alla rassicurazione della Sibilla su quel viaggio e alla vista del ramo d’oro, Caronte acconsente a traghettarlo sulla sponda opposta ed Enea attraversa il fiume. Dopo aver superato vari altri luoghi, Enea si trova di fronte a un bivio: due strade che conducono a due luoghi completamente differenti. L’eroe sceglie la strada a destra, che porta verso la città di Dite, dove, assieme alla Sibilla, offrirà il ramo d’oro a Proserpina, affiggendolo alla porta della città, per poi proseguire verso i campi Elisi, dove ritroverà e potrà finalmente parlare a suo padre Anchise.

Quello che Virgilio chiama ramo d’oro è stato identificato dagli studiosi con un ramo di vischio, che, quando si secca, assume un colore dorato. Sebbene Virgilio non lo scriva chiaramente, ma paragoni quel ramo d’oro a un ramo di vischio, i filologi hanno concluso che lo fosse. Se il vischio bianco, Viscum album, molto raramente cresce sulle querce, più spesso, invece, vi si può il vischio giallo, o vischio quercino, il Loranthus europaeus Jacq., che produce bacche ovate di colore giallo con riflessi dorati. Aggiungo io, inoltre, forse ha scelto l’elce, cioè il leccio, un tipo di quercia sempreverde, per quest’ultima sua caratteristica: l’essere sempreverde rimanda all’eternità, a un futuro che si schiude bello e prospero, infinito e ininterrotto. E il paragonare quel ramo al vischio, ma senza dire chiaramente che lo fosse, era motivato dal fatto che, forse, voleva che Enea trovasse un ramo dalle qualità e virtù straordinarie. Gli studiosi hanno esaminato diverse ipotesi e, in particolare l’etnologo scozzese James George Frazer, hanno tratto la conclusione che fosse un ramo di vischio, ritenendo l’uso della comparazione un modo per accentuare l’effetto poetico.

Leggendo il racconto, emerge come il vischio sia il simbolo della chiave di interpretazione della realtà e di accesso e scoperta dei suoi aspetti veri e profondi. Non basta osservare, occorre interrogarsi, cercare e saper vedere e comprendere.  È il simbolo di chi vuole vivere con consapevolezza, di chi impara dalla propria esperienza e la trasforma in conoscenza e visione di vita.

Il rametto di vischio viene usato da Enea nel corso del suo viaggio due volte. La prima per placare Caronte e convincerlo a fargli attraversare il fiume. La seconda all’ingresso dei campi Elisi, quando lo offre a Proserpina, collocandolo sulla porta della città di Dite.
Questi due gesti hanno due profondi significati simbolici. Lui, che è un mortale, entra nell’Ade, il regno dei morti, in vita, da vivo. Il vischio rappresenta, quindi, la protezione, perché Enea ha accesso laddove nessuno può entrare. Rappresenta l’immortalità e l’incolumità nel pericolo. Proserpina, cui dona il ramo d’oro, è la dea che simboleggia il mistero della vita e della natura che rifiorisce dopo i rigori della stagione invernale facendo sbocciare la primavera e prosperare l’estate. Il vischio è quindi simbolo, anche, di risveglio, rigenerazione, floridità. L’usanza di decorare con il vischio l’ingresso delle abitazioni ci viene dal racconto di Virgilio ed è un segno di augurio, affinché l’anno che si apre sia pieno di salute, forza e nuove possibilità.

2 Comments
  1. Walter Pecoraro

    Complimenti molto bello! Ho visto tante volte il vischio su diversi tipi di alberi, dal rovere al castagno e spesso sui peri e sui meli ma non l’ ho visto mai sui lecci e mi sembra difficile che possa crescere su un albero sempre verde con una chioma così fitta. Boh…

    • Nella terra dei fiori

      Buon pomeriggio, Walter,
      benvenuto nel blog!
      Allora, per interpretare il passo dell’Eneide e ciò che volesse dire, ho svolto diverse ricerche. Ho trovato che sulle querce cresce il vischio: il vischio bianco, Viscum album, seppur raramente, che produce frutti rotondi di colore bianco, e il vischio giallo, Loranthus europaeus Jacq., conosciuto come vischio quercino (cresce su diverse specie di quercia ma anche su esemplari di castagno o ulivo con molti anni), che produce bacche ovate di colore giallo con riflessi d’oro. C’è da dire, anche, che in realtà, il poeta paragona quel ramo d’oro al vischio: io credo volesse identificarlo a livello simbolico o soprattutto simbolico – ed ecco perché lo trova su un leccio, che è una quercia sempreverde. Il fatto che sia sempreverde sottintende l’eternità, l’immortalità. Presso i Romani, inoltre, il vischio era usato come pianta medicinale ed era considerato simbolo di pace, una condizione che garantisce (o, almeno, dovrebbe) prosperità e un avvenire lungo e luminoso. La quercia era adorata per la maestosità del suo tronco, la magnificenza delle sue fronde e per il legno resistente. Simboleggiava il vigore fisico e morale. Era simbolo di regalità, era sacra a Giove, e collegata al dono della veggenza.
      Nei boschi latini (come in quelli greci, celtici e germanici) a lungo si sono svolti culti legati alla quercia e al vischio.
      Inoltre, quel ramo gli consentirà di tornare nel mondo dei vivi: il vischio diventa così il simbolo del ritorno alla vita, di una rigenerazione. Ecco perché, a mio avviso, la comparazione.

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